lunedì 28 gennaio 2008

Cospargimi di olio alle mandorle e vanità

(Avviso: questo post ha un contenuto altamente femminile. Come tale, se ne sconsiglia la lettura ai misogini o aspiranti tali. Grazie)
L’Epil Hour è uno dei sacri riti della bellezza pulzellica. La liturgia comincia quando la fanciulla si accorge di avere necessità di una depilazione quanto più ravvicinata possibile, per cause molto diverse, quali i peli delle gambe smagliano i collant, i baffetti/barbetta si imperlano di sudore, sgocciolando vistosamente, incontri ravvicinati del quarto tipo con partner focosi e, perchennò, amor proprio. Sacra sacerdotessa è l’estetista, la cui velocità nell’operazione di stesura della cera-applicazione della striscia-strappo secco è seconda solo al subitaneo rossore che comparirà sulla pelle. Mentre tali operazioni si susseguono ad un ritmo incessante, la fanciulla ammazza il tempo raccontando gli accadimenti strampalati della sua vita, toccando mete obbligate quali rapporti con maschi (chechilicapisceèbrava), shopping (forever & ever), tran-tran-lavoro-casa (chechicelafaébrava).
È noto che, partendo dai piedi in su, il livello di fastidio (e conseguente rossore post-strappo) cresce in modo esponenziale e con esso anche la quantità di crema e olio di mandorle da spalmare appena giunta nelle mura domestiche.
Dopo l’ultimo strappo e un veloce massaggio, la fanciulla, vanitosa come un pavone, constata con certezza che la specie umana discende dalle scimmie (e se anche fosse dura di comprendonio, l’eccidio di peli e cellule epiteliali appena consumato non lascia dubbi) ma con la differenza, però, che queste hanno il diritto di portare il loro manto in pace e serenità.
Diritto tanto ma tanto invidiato.

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